giovedì 26 maggio 2011

Il fumetto dalla prospettiva della "Madunina"

Copyright Marco Gisaldi

Passato quasi un anno da quando mi sono trasferita a Milano, posso dire di aver trovato un mondo davvero diverso da quello che conoscevo in quel di Treviso.
No, non parlo di palazzoni grigi e puzza di smog (quelli anche se di meno ci sono anche a Treviso).
Sto parlando di fumetto, o meglio, dell'idea che mi ero fatta di questo mondo e di come questa sia stata stravolta in questi mesi.
Frequentando la Scuola del Fumetto, la mia prima impressione è stata che qui a Milano il fumetto è veramente un bel mezzo di comunicazione, riconosciuto (per quel poco che si possa riconoscere in questo paese), stimato (idem)e...remunerativo.
Si, avete capito bene, qui dal primo giorno mi è stato detto che prima di tutto dobbiamo imparare a venderci.
E, cosa non meno importante, mi è stato detto che di fumetto si può davvero vivere, se ci si impegna e non si fa gli struzzi con la testa sotto la sabbia.
C'è così tanto spazio insospettabilmente libero in questo mondo che solo a darci uno sguardo di sfuggita ti prende una specie di sindrome di Stendhal, ti manca il respiro, e finalmente ti senti felice di aver fatto questa scelta di vita.
Il mercato può assorbire positivamente molti più prodotti di quelli che immaginiamo.
E io che avevo sempre sentito dire che il mercato del fumetto è saturo da anni, che non c'è spazio per gli esordienti, che o vai a lavorare all'estero o qui fai la fame, che devi lottare anche solo per ritagliarti un po' di nomea nel mercato di nicchia, tra amici e conoscenti, che se vendi 200 copie di un fumetto è davvero un gran risultato...
Beh, qui c'è chi butta nel cesso un prodotto che vende 80000 copie solo perchè non è abbastanza per lo standard.
E c'è chi qui vende 16000 copie senza nemmeno fare pubblicità.
Gli autori locali che prima mi venivano presentati come "big" del fumetto italiano qui non li conosce nessuno o quasi, se non per vaga amicizia. Non certo per fama o diffusione nelle edicole. Ed è quello che conta, qui. 
C'è così "poco spazio" in questo mondo che ci sono così tanti pazzi che spendono 15000 euro in 3 anni per andare a fare la fame. E le classi sono piene. PIENE! Si vede che qui non vendono solo fuffa, ma insegnano veramente cosa significa fare il disegnatore di fumetti.
E io che ingenuamente pensavo che i corsi di fumetto racimolassero arrancando al massimo una quindicina di allievi stando larghi con le previsioni!
Come volevasi dimostrare siamo in 50 circa solo al primo anno.
50 pazzi che pagano 5000 euro all'anno per inseguire un sogno?
Non credo proprio.
Si vede che forse quello che pensavo io, quello che avevo sentito fino all'anno scorso, non corrisponde poi proprio alla realtà.
Ebbene, ora ho capito che quello che avevo sentito io nelle desolate lande venete era pura FUFFA.
Perchè qui a Milano basta impegnarsi per iniziare a trovare la propria strada.
Qui ci insegnano la speranza, e non la disillusione di essere disegnatori e autori.
Ci insegnano a sorridere perchè questo è il lavoro più bello del mondo, e non a rimpiangere i sogni seduti a una anonima scrivania d'ufficio. 
Non venitemi a dire che mi raccontano frottole solo perchè vogliono che io continui a pagare...c'è gente, parecchia gente, che questo lavoro lo fa davvero, ci vive, ci paga le spese, il superfluo e pure di più...

Ci insegnano a non omologarci a un disegno bonelliano o a uno disneyano, ma a lasciar comparire noi stessi in quello che disegnamo, a far nascere il NOSTRO stile, e non quello imposto da chissà chi. Sempre però senza tralasciare gli aspetti qualitativi e stilistici richiesti dal mercato.
La frase forse più bella di questi ultimi mesi è stata "Se sei bravo, stai sicuro che qualcuno vorrà scommettere su di te. E' una certezza."
Certo, mica sono tutte rose e fiori, si deve sudare, faticare, persistere, evolvere ed essere disponibili ad ogni cambiamento voluto da chi ti legge e ti compra. E' un percorso Zen (per dirla alla Luciano)
Ma non parti certamente sconfitto in partenza!
E' questo che insegnano qui, la gioia di sbagliare e andare avanti, di accettare quello che siamo e che sappiamo fare, e usare questa consapevolezza come base di partenza per evolvere oltre noi stessi, nella certezza di poter fare il lavoro più gratificante della terra (almeno per me).
E' la speranza che ho riconquistato andandomene da casa, ma staccarmi da amici, famiglia e habitat è un prezzo più che ragionevole per realizzare il mio sogno.
E forse staccarmi da un certo ambiente non può che farmi bene.
Perchè ora so che quel sogno può diventare tangibile, basta volerlo.

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